...Dopo aver vinto tre elezioni [Berlusconi] ancora non è riuscito a saldare i conti con la magistratura. È ancora imputato nel processo Mills che andrà a sentenza prima della prescrizione; e per di più teme altri scherzi che ne ostacolino, a suo tempo, il disegno di salire al Quirinale. E così vara con urgenza una legge «blocca processi» che ferma per un anno tutti i procedimenti che prevedono pene massime al di sotto dei dieci anni (nel caso Mills sarebbero sei); e per ogni evenienza interpola, nel «pacchetto sicurezza» al quale gli italiani tengono, una coda estranea (il lodo Alfano) che rende Arcore intoccabile fino all'aprile 2013, e probabilmente oltre. Ora, se davvero si trattasse del signor Arcore, quasi tutti direbbero che le due escogitazioni sono pessime, e che servono soltanto a lui. Invece il nostro Silvio sostiene che sono necessarie e nell'interesse di tutti. Ammettiamo che siano necessarie. Anche così si potrebbe sicuramente far meglio. Una legge che diminuisce il carico degli arretrati giudiziari ci vuole. Ma dovrebbe cancellare i processi inutili, tali perché destinati a finire nel macero delle prescrizioni. Ma no. No perché, così riformulata, la legge non salverebbe il premier Arcore. Anche se una sua eventuale condanna in una sentenza di primo grado gli lascia dieci anni e passa di ricorsi e di appelli, il Nostro antepone il suo interesse e prestigio privati a quello di far funzionare la macchina della giustizia. E considerazioni analoghe (la mia è sul Corriere del 21 giugno) si possono fare sull'immunità. Eppure la maggioranza parlamentare di Arcore fa quadrato (superbulgaro, senza nemmeno un dissenso) nel sostenere che le due proposte in questione sono nell'interesse generale, nell'interesse di tutti. È vero: anche Arcore ne beneficia, ma soltanto perché lui è uno dei tutti.
Le cose che mi spaventano sono oramai parecchie; ma il livello di soggezione e di degrado intellettuale manifestato in questa occasione da una maggioranza dei nostri «onorevoli» (sic) mi spaventa più di tutto. Altro che bipartitismo compiuto! Qui siamo al sultanato, alla peggiore delle corti. Cavour diceva: meglio una Camera che un'anticamera. Ma quando un'anticamera si sovrappone alla Camera, non so più cosa sia peggio.
Giovanni Sartori, Corriere della Sera, 5 Luglio 2008
sabato 5 luglio 2008
martedì 5 giugno 2007
Il governo non vuole vedere di G. D'Avanzo
Dai dossier al segreto di Stato, tutti i punti da chiarire
Quella oscura ragnatelache il governo non vuole vedere
di GIUSEPPE D'AVANZO
Quella oscura ragnatelache il governo non vuole vedere
" src="http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/economia/visco-gdf/patto-oscuro/stor_10534539_08210.jpg" width=280>
ROMA - In Occidente, solitamente, è la stampa a chiedere conto alla politica delle ragioni delle sue scelte; a pretendere luce là dove c'è ombra; a reclamare una coerenza nei comportamenti là dove avvista compromessi di basso profilo fra interessi opposti a danni del bene collettivo e dell'integrità delle istituzioni. Nel nostro bizzarro Paese avviene il contrario. E' il governo a chiedere conto alla stampa delle sue cronache pur ammettendo che contengono "elementi di verità". Già quei frammenti di realtà imporrebbero al governo attenzione - se non proprio un chiarimento. Se si volesse esagerare in retorica, si potrebbe anche sostenere che, per un esecutivo, dovrebbe essere un dovere istituzionale e morale dar conto in pubblico delle proprie decisioni che, a occhio nudo, appaiono contraddittorie o irragionevoli. La bizzarria nazionale capovolge la scena. Fa sentire al ministro della Difesa, Arturo Parisi, il "dovere istituzionale e morale" di chiedere conto a questo giornale delle affermazioni contenute in una cronaca in cui si raccontava la "pervasività di un potere di pressione, condizionamento e ricatto" di una consorteria che definivamo una pidue per semplificazione evocativa: un "agglomerato oscuro" (la definizione è di un membro del governo in carica) che, avvantaggiato da un sistema politico frammentato, diviso e in debito di credibilità per i vizi, le anomalie e gli sprechi che si concede, è in movimento al "mercato della politica" per offrire i suoi servigi opachi.
Anche se stravagante, la richiesta di Arturo Parisi offre tuttavia l'opportunità di ritornare sulla questione con qualche dettaglio in più, utile al lettore. Il ministro della Difesa chiede di "dar conto" di tre questioni: (1) di documentare come si possa affermare "l'intenzione del governo in carica di tutelare, anche nella nuova stagione politica, il passato i traffici e la fortuna dei protagonisti del network" che a noi sembra governato dall'ex-direttore del Sismi, Nicolò Pollari; (2) di sapere come si può "sostenere che l'ammiraglio Bruno Branciforte (il nuovo direttore del Sismi) "viene consegnato a un imbarazzato stato di impotenza"; (3) di dar conto dei "margini di manovra dei "vecchi" che troverebbe prova nel fatto che un fidatissimo braccio destro del generale Pollari è al Personale della Difesa mentre, alle dipendenze del Direttore Generale, si interessa del reclutamento dei volontari a ferma breve delle Forze Armate". Che, più del governo di centro-destra, il governo di centro-sinistra tuteli (1) "il passato, i traffici e la fortuna" di quel network, che ha in Nicolò Pollari il suo leader, non è solo documentato, è certo come il lunedì segue la domenica. Nicolò Pollari è imputato di aver accompagnato l'azione della Cia nel sequestro illegale di un cittadino egiziano. E' un delitto eversivo dell'ordine costituzionale che viola la sovranità del nostro Stato e i diritti fondamentali della persona. Non proprio una marachella. A domanda della procura di Milano, nel novembre del 2005, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi esclude che ci sia il segreto di Stato sulla vicenda. Lo stesso fa Nicolò Pollari. Il 26 luglio del 2006, il presidente del Consiglio Romano Prodi, con un sorprendente ribaltamento e senza indicare alcuna ragione, oppone il segreto di Stato che dovrebbe seppellire per sempre l'affare. Di più, ricorre alla Corte Costituzionale; solleva un conflitto di competenza; denuncia "i comportamenti criminosi" dei magistrati di Milano. I fatti, ridotti all'osso, giustificano in abbondanza l'affermazione che, nel cambio di stagione politica, le responsabilità di Pollari abbiano ricevuto dal governo Prodi una tutela che Berlusconi non gli ha mai offerto. Della legittimità dell'iniziativa del governo deciderà ora la Corte Costituzionale. Il fascicolo alla Consulta ha come "relatore" Giovanni Maria Flick, che, in passato, è stato avvocato personale e ministro di Romano Prodi. Opportunità vorrebbe che il "relatore" designato si astenesse. Si può sostenere che il nuovo direttore del Sismi, l'ammiraglio Bruno Branciforte, sia paralizzato nel suo comando (2)? Un esempio concreto. In un'intelligence, il settore Analisi, è un ganglio vitale. Quella Direzione ancora oggi, nel Sismi, non ha un responsabile. Se si escludono quattro nomine a "caporeparto", non si è mossa una foglia in quella "ditta", che pure qualche pasticcio ha combinato (Pollari organizza in via Nazionale un ufficio di dossieraggio e disinformazione) e dunque ha bisogno di una terapia urgente. Branciforte è ritenuto dal governo il miglior uomo in campo. Sapiente, esperto, deciso (il giudizio è largamente condiviso nelle Forze Armate). Perché un militare di cui tutti apprezzano l'energia appare agitarsi come una statua del Gianicolo? Tra gli addetti ai lavori si raccoglie una sola spiegazione. Non è oggi nelle condizioni per farlo. Un intrigante braccio destro di Pollari, sostiene Parisi, è stato reclutato alla Difesa - è vero - ma è addirittura "alle dipendenze del Direttore Generale" (3) e si occupa di minuzie. E' una replica? Si fa fatica a capirlo. Breve riepilogo. Quest'uomo, che Pollari definisce "il mio orecchio", dirige un "centro occulto" in via Nazionale. Affastella dossier contro "i nemici" di Silvio Berlusconi. Scheda rappresentanti del popolo, liberamente eletti (per dire, Cesare Salvi, Luciano Violante, Massimo Brutti, Sergio Cofferati); magistrati (Juan Ignatio Patrone); giornalisti (Serventi Longhi, Furio Colombo). Quel che è peggio - e dovrebbe forse inquietare il ministro - organizza alla vigilia delle elezioni un'operazione di discredito di Romano Prodi, candidato dall'opposizione a governare il Paese. C'è manovra più minacciosa per la democrazia? A questo pericolo si può opporre una soluzione burocratica ("è alle dipendenze del Direttore Generale")? Nemmeno un'opportunità istituzionale, ma soltanto quella che gli antropologi chiamano shame culture, la cultura della vergogna, avrebbe dovuto imporre al ministro l'esclusione del funzionario infedele dall'ambiente professionale e sociale di appartenenza. Non è avvenuto. E dunque è davvero "velenoso" parlare di un'irragionevole tutela? Lo ripetiamo, è incomprensibile che a episodi così gravi e non contestati che deformano il confronto democratico, la libertà degli individui, i diritti costituzionali, si oppongano decisioni così storte e argomenti così minimalisti. Perché? Perché Luciano Violante, all'ipotesi di un "agglomerato oscuro" che si è messo al lavoro, replica: "Sono abituato a giudicare le cose che vedo e se si parla di poteri oscuri quelli non si vedono". L'ufficio di dossieraggio di via Nazionale lo scheda come un "nemico" di Silvio Berlusconi e, contro i "nemici" di Berlusconi, pianifica un operazione "anche cruenta". Non è oscura l'iniziativa di quel potere né il potere. Ogni cosa è concreta, documentata, illuminata e visibilissima. Come si può non vederla o girarsi da un'altra parte, con un accenno di superbia? Quel che si fa fatica a capire, a dir la verità, è "la natura della corrente in cui siamo immersi". Anche se, a ben pensarci, il contrasto tra i propositi dichiarati e i comportamenti effettivi evoca un'immutabilità del sistema politico italiano "dove uomini e partiti non hanno idee, o per idee si spacciano affocamenti di piccole passioni, urti di piccoli interessi, barbagli di piccoli vantaggi: dove si baratta per genio l'abilità, e per abilità qualcosa di peggio" (Giosuè Carducci a proposito del quinto ministero Depretis, 19 maggio 1883). (5 giugno 2007)
Quella oscura ragnatelache il governo non vuole vedere
di GIUSEPPE D'AVANZO
Quella oscura ragnatelache il governo non vuole vedere
" src="http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/economia/visco-gdf/patto-oscuro/stor_10534539_08210.jpg" width=280>
ROMA - In Occidente, solitamente, è la stampa a chiedere conto alla politica delle ragioni delle sue scelte; a pretendere luce là dove c'è ombra; a reclamare una coerenza nei comportamenti là dove avvista compromessi di basso profilo fra interessi opposti a danni del bene collettivo e dell'integrità delle istituzioni. Nel nostro bizzarro Paese avviene il contrario. E' il governo a chiedere conto alla stampa delle sue cronache pur ammettendo che contengono "elementi di verità". Già quei frammenti di realtà imporrebbero al governo attenzione - se non proprio un chiarimento. Se si volesse esagerare in retorica, si potrebbe anche sostenere che, per un esecutivo, dovrebbe essere un dovere istituzionale e morale dar conto in pubblico delle proprie decisioni che, a occhio nudo, appaiono contraddittorie o irragionevoli. La bizzarria nazionale capovolge la scena. Fa sentire al ministro della Difesa, Arturo Parisi, il "dovere istituzionale e morale" di chiedere conto a questo giornale delle affermazioni contenute in una cronaca in cui si raccontava la "pervasività di un potere di pressione, condizionamento e ricatto" di una consorteria che definivamo una pidue per semplificazione evocativa: un "agglomerato oscuro" (la definizione è di un membro del governo in carica) che, avvantaggiato da un sistema politico frammentato, diviso e in debito di credibilità per i vizi, le anomalie e gli sprechi che si concede, è in movimento al "mercato della politica" per offrire i suoi servigi opachi.
Anche se stravagante, la richiesta di Arturo Parisi offre tuttavia l'opportunità di ritornare sulla questione con qualche dettaglio in più, utile al lettore. Il ministro della Difesa chiede di "dar conto" di tre questioni: (1) di documentare come si possa affermare "l'intenzione del governo in carica di tutelare, anche nella nuova stagione politica, il passato i traffici e la fortuna dei protagonisti del network" che a noi sembra governato dall'ex-direttore del Sismi, Nicolò Pollari; (2) di sapere come si può "sostenere che l'ammiraglio Bruno Branciforte (il nuovo direttore del Sismi) "viene consegnato a un imbarazzato stato di impotenza"; (3) di dar conto dei "margini di manovra dei "vecchi" che troverebbe prova nel fatto che un fidatissimo braccio destro del generale Pollari è al Personale della Difesa mentre, alle dipendenze del Direttore Generale, si interessa del reclutamento dei volontari a ferma breve delle Forze Armate". Che, più del governo di centro-destra, il governo di centro-sinistra tuteli (1) "il passato, i traffici e la fortuna" di quel network, che ha in Nicolò Pollari il suo leader, non è solo documentato, è certo come il lunedì segue la domenica. Nicolò Pollari è imputato di aver accompagnato l'azione della Cia nel sequestro illegale di un cittadino egiziano. E' un delitto eversivo dell'ordine costituzionale che viola la sovranità del nostro Stato e i diritti fondamentali della persona. Non proprio una marachella. A domanda della procura di Milano, nel novembre del 2005, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi esclude che ci sia il segreto di Stato sulla vicenda. Lo stesso fa Nicolò Pollari. Il 26 luglio del 2006, il presidente del Consiglio Romano Prodi, con un sorprendente ribaltamento e senza indicare alcuna ragione, oppone il segreto di Stato che dovrebbe seppellire per sempre l'affare. Di più, ricorre alla Corte Costituzionale; solleva un conflitto di competenza; denuncia "i comportamenti criminosi" dei magistrati di Milano. I fatti, ridotti all'osso, giustificano in abbondanza l'affermazione che, nel cambio di stagione politica, le responsabilità di Pollari abbiano ricevuto dal governo Prodi una tutela che Berlusconi non gli ha mai offerto. Della legittimità dell'iniziativa del governo deciderà ora la Corte Costituzionale. Il fascicolo alla Consulta ha come "relatore" Giovanni Maria Flick, che, in passato, è stato avvocato personale e ministro di Romano Prodi. Opportunità vorrebbe che il "relatore" designato si astenesse. Si può sostenere che il nuovo direttore del Sismi, l'ammiraglio Bruno Branciforte, sia paralizzato nel suo comando (2)? Un esempio concreto. In un'intelligence, il settore Analisi, è un ganglio vitale. Quella Direzione ancora oggi, nel Sismi, non ha un responsabile. Se si escludono quattro nomine a "caporeparto", non si è mossa una foglia in quella "ditta", che pure qualche pasticcio ha combinato (Pollari organizza in via Nazionale un ufficio di dossieraggio e disinformazione) e dunque ha bisogno di una terapia urgente. Branciforte è ritenuto dal governo il miglior uomo in campo. Sapiente, esperto, deciso (il giudizio è largamente condiviso nelle Forze Armate). Perché un militare di cui tutti apprezzano l'energia appare agitarsi come una statua del Gianicolo? Tra gli addetti ai lavori si raccoglie una sola spiegazione. Non è oggi nelle condizioni per farlo. Un intrigante braccio destro di Pollari, sostiene Parisi, è stato reclutato alla Difesa - è vero - ma è addirittura "alle dipendenze del Direttore Generale" (3) e si occupa di minuzie. E' una replica? Si fa fatica a capirlo. Breve riepilogo. Quest'uomo, che Pollari definisce "il mio orecchio", dirige un "centro occulto" in via Nazionale. Affastella dossier contro "i nemici" di Silvio Berlusconi. Scheda rappresentanti del popolo, liberamente eletti (per dire, Cesare Salvi, Luciano Violante, Massimo Brutti, Sergio Cofferati); magistrati (Juan Ignatio Patrone); giornalisti (Serventi Longhi, Furio Colombo). Quel che è peggio - e dovrebbe forse inquietare il ministro - organizza alla vigilia delle elezioni un'operazione di discredito di Romano Prodi, candidato dall'opposizione a governare il Paese. C'è manovra più minacciosa per la democrazia? A questo pericolo si può opporre una soluzione burocratica ("è alle dipendenze del Direttore Generale")? Nemmeno un'opportunità istituzionale, ma soltanto quella che gli antropologi chiamano shame culture, la cultura della vergogna, avrebbe dovuto imporre al ministro l'esclusione del funzionario infedele dall'ambiente professionale e sociale di appartenenza. Non è avvenuto. E dunque è davvero "velenoso" parlare di un'irragionevole tutela? Lo ripetiamo, è incomprensibile che a episodi così gravi e non contestati che deformano il confronto democratico, la libertà degli individui, i diritti costituzionali, si oppongano decisioni così storte e argomenti così minimalisti. Perché? Perché Luciano Violante, all'ipotesi di un "agglomerato oscuro" che si è messo al lavoro, replica: "Sono abituato a giudicare le cose che vedo e se si parla di poteri oscuri quelli non si vedono". L'ufficio di dossieraggio di via Nazionale lo scheda come un "nemico" di Silvio Berlusconi e, contro i "nemici" di Berlusconi, pianifica un operazione "anche cruenta". Non è oscura l'iniziativa di quel potere né il potere. Ogni cosa è concreta, documentata, illuminata e visibilissima. Come si può non vederla o girarsi da un'altra parte, con un accenno di superbia? Quel che si fa fatica a capire, a dir la verità, è "la natura della corrente in cui siamo immersi". Anche se, a ben pensarci, il contrasto tra i propositi dichiarati e i comportamenti effettivi evoca un'immutabilità del sistema politico italiano "dove uomini e partiti non hanno idee, o per idee si spacciano affocamenti di piccole passioni, urti di piccoli interessi, barbagli di piccoli vantaggi: dove si baratta per genio l'abilità, e per abilità qualcosa di peggio" (Giosuè Carducci a proposito del quinto ministero Depretis, 19 maggio 1883). (5 giugno 2007)
Affare Visco/Speciale e P2 di G. D'Avanzo
Dietro l'affare Visco-Speciale c'è il prepotente riemergere di un ramificato potere occulto. L'errore del viceministro: non rendere pubbliche le ragioni dei cambi voluti a Milano
Una nuova P2 ricattala politica debole di GIUSEPPE D'AVANZO
Una nuova P2 ricattala politica debole" src="http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/economia/visco-gdf/nuova-p2/stor_10526214_13200.jpg" width=280>
Il vice ministro all'Economia Vincenzo Visco e il generale Roberto SpecialeNon è una buona cosa maneggiare l'affare Visco/Speciale come una baruffa tra due caratteri autoritari e spicciativi, e non come un conflitto tra istituzioni che annuncia un ben altro sismo, più violento e dagli esiti imprevedibili. Un'analisi senza profondità, tempo e memoria di questo "pasticciaccio" impedisce di scorgere l'autentico focus della crisi che sta incubando: il ritorno sul "mercato della politica" degli interessi di quell'"agglomerato oscuro" che si è andato costituendo all'ombra del governo Berlusconi e nella spensierata indifferenza o sottovalutazione dei leader del centro-sinistra, Prodi, D'Alema, Rutelli in testa. Si può dire che quel che fa capolino con l'offensiva del generale è una varietà modernizzata della loggia P2. La si può definire così, una P2, soltanto per semplificazione evocativa anche se il segno caratteristico di questa consorteria non è l'affiliazione alla massoneria (anche se massoni vi abitano), ma la pervasività - sotterranea, irresponsabile, incontrollata, trasversale - del suo potere di pressione, di condizionamento, di ricatto.
E' necessario cominciare da Visco. I passi stortissimi del comandante generale della Guardia di Finanza non possono lasciare in ombra gli errori del viceministro, che sono gravi. Non è in discussione la limpidezza morale di Vincenzo Visco, ma l'efficacia delle sue mosse e soprattutto la coerenza delle sue iniziative con la strategia del governo di cui è parte. Il primo errore del viceministro è di non rendere trasparenti le ragioni dell'urgenza di cambiare aria nelle stanze del comando della Guardia di Finanza in Lombardia, di non farne una questione pubblica. Visco cede alla tentazione di avviare, come si legge in una lucida analisi del Sole-24 Ore, "un rozzo spoils system nei confronti di personale militare ritenuto troppo vicino alla gestione politica precedente". Che in Lombardia, la Guardia di Finanza sia stata molto prossima e a volte subalterna alle volontà del ministro dell'Economia uscente, Giulio Tremonti - e che ancora oggi possa esserlo - è fatto noto dentro la Guardia di Finanza e nella magistratura, ma Visco tira per la sua strada in silenzio e al coperto, con un altro passo falso. "Anziché stare alla larga da diatribe annose e poco misurabili", pensa "di utilizzare un gruppo contro un altro, senza calcolare modi, conseguenze e nemmeno la forza di chi gli sarebbe potuto rivoltare contro" (ancora il Sole-24 Ore). Tatticamente difettosa, l'iniziativa di Visco ha un altro deficit. Non è politicamente omogenea alle scelte del governo che ha deciso di stringere, contrariamente a quel che crede Visco, un patto di compromissione, un'intesa, un patto di non-aggressione, chiamatelo come volete, proprio con quel network di potere, di cui il generale Roberto Speciale è soltanto uno degli attori, e nemmeno il maggiore. Di quel network di potere occulto e trasversale, ormai si sa o si dovrebbe sapere. E' un "apparato" legale/clandestino deforme, scandaloso, ma del tutto "visibile". Nasce con la connessione abusiva dello spionaggio militare con diverse branche dell'investigazione, soprattutto l'intelligence business, della Guardia di Finanza; con agenzie di investigazione che lavorano in outsourcing; con la Security privata di grandi aziende come Telecom, dove esiste una "control room" e una "struttura S2OC" "capace di fare qualsiasi cosa, anche intercettazioni vocali: può entrare in tutti i sistemi, gestirli, eventualmente dirottare le conversazioni su utenze in uso, con la possibilità di cancellarne la traccia senza essere specificatamente autorizzato". Quel che combina questo "mostro", che dovrebbe preoccupare chi ha a cuore la qualità della democrazia italiana, si sa. Qualche esempio. Dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, pianifica operazioni - "anche cruente" - contro i presunti "nemici" del neopresidente del Consiglio. Durante la legislatura 2001/2006 raccoglie, "con cadenza semestrale", informazioni in Europa su presunti finanziamenti dei Democratici di Sinistra. E' il "dossier Oak" (Quercia), alto una spanna, denso di conti correnti, bonifici, addirittura con i nomi e i cognomi di presunti "riciclatori" e "teste di legno" dei finanziamenti occulti dei Ds che fanno capo ai leader del partito. Prima della campagna elettorale del 2006, l'apparato legale/clandestino programma e realizza una campagna di discredito contro Romano Prodi. Sarebbe un errore, però, considerare il network "al servizio" del centrodestra. Quell'apparato legale/clandestino, a cavallo tra due legislature, si è "autonomizzato", si è "privatizzato", è autoreferenziale. Raccoglie e gestisce informazioni in proprio. Vere, false non importa: sono qualifiche fluide - il vero e il falso - nella "mediatizzazione della politica dove ogni azione politica si svolge all'interno dello spazio mediale e dipende in larga misura dalla voce dei media". A questa variante moderna di P2 è sufficiente amministrare, saggiamente, la cecità e le nevrosi delle power élite, angosciate dalle mosse degli alleati; spaventate dai complotti possibili, probabili, prossimi. Con accorta disciplina, il network spionistico sa essere il virus e il terapeuta della malattia del sistema politico italiano che impedisce, all'uno come all'altro schieramento, di riconoscersi la legittimità (morale prima che politica) di governare. Alimenta così la sindrome di Berlusconi consegnandogli dossier sul complotto mediatico-giudiziario. La cura con una pianificazione di annientamento dei presunti complottardi. Eccita il "complesso berlusconiano" della sinistra e lenisce quello stato psicoemotivo, prima che politico, con informazioni sulle mosse vere o presunte del temuto spauracchio. Quanto più il conflitto pubblico precipita oscurandosi in un sottosuolo, dove poteri frantumati, deboli, nevrotici tentano di rafforzarsi o difendersi; tanto più il network è in grado di essere il custode dell'opaca natura del potere italiano o il giocatore in più che può favorire la vittoria nella contesa. La minaccia di questa presenza abusiva e minacciosa nel "mercato della politica", alla vigilia delle elezioni del 2006, sembra chiara al centrosinistra. C'è chi esplicitamente, con grande scandalo e dopo anni di distratto silenzio, avverte che "sono tornati i tempi della P2" e chi, più lucidamente, ragiona sul quel che è accaduto e sul da farsi. Preoccupato da una realtà che ha consentito di "sviluppare un agglomerato oscuro fatto di agenzie di investigazione e polizie private in combutta con infedeli servitori dello Stato che si muove in una logica di ricatto", trova "lo spettacolo spaventoso" e promette che "il nuovo governo solleciterà il Parlamento a indagare, accertare, comprendere cosa è accaduto". (Marco Minniti, oggi viceministro agli Interni). In realtà, il governo Prodi appena insediato muove in tutt'altra direzione. Preferisce guardare altrove, incapace di prendere atto dell'infezione, in apparenza impotente a comprenderne il pericolo, addirittura impedito a programmare il necessario lavoro di bonifica. Quel che appare al vertice del network, il direttore del Sismi Nicolò Pollari, incappa nelle indagini della procura di Milano per il sequestro di un cittadino egiziano. L'inchiesta mostra le connessioni del network e dimostra la sua attività di dossieraggio illegale. Incrociata con i risultati dell'istruttoria Telecom, offre una scena così inquietante per la qualità della nostra democrazia che dovrebbe convincere il governo a darsi da fare in fretta, a rimuovere, rinnovare, risanare; a chiedere al Parlamento - appunto - di "accertare e comprendere". Accade il contrario. Il sequestro del cittadino egiziano è protetto da un segreto di Stato che nemmeno Berlusconi e Gianni Letta hanno mai proposto alla magistratura milanese. Di più, per dare un minimo di credibilità alla sorprendente iniziativa, l'esecutivo non esita ad accusare dinanzi alla Corte Costituzionale di illegalismo la procura di Milano. Un altro segreto di Stato va a coprire gli avvenimenti che hanno accompagnato la missione in Iraq di Nicola Calipari, salvo poi chiedere a Washington "verità e giustizia". Che si voglia tutelare, anche nella nuova stagione politica, il passato, i traffici e la fortuna dei protagonisti di quel network è ancora più chiaro quando si procede alla sostituzione dei vertici dell'intelligence. L'ammiraglio Bruno Branciforte va al Sismi senza alcuna delega in bianco o margini operativi e decisionali. Viene consegnato a un imbarazzante stato di impotenza. In sei mesi, per vincoli politici, non ha avuto la possibilità di rimuovere nemmeno un dirigente. Lo staff, i direttori centrali e periferici, il potentissimo capo del personale sono gli stessi dell'éra Pollari. Ad alcuni degli uomini più fidati del generale uscente è stato consigliato di fare un accorto passo laterale diventando gli uomini forti e ascoltati del ministero della Difesa. Al Sisde il nuovo capo, Franco Gabrielli, ammette addirittura davanti al Parlamento che "così com'è, il servizio interno non può svolgere appieno un efficace compito di prevenzione". E tuttavia non riesce a incuriosire il ministro dell'Interno che, in sei mesi, non ha ancora trovato il tempo e il modo di riceverlo. Se i "nuovi" hanno difficoltà a fare il loro lavoro, i "vecchi" possono ampliare - al contrario - il loro margine di manovra e i "punti di appoggio". Pollari è oggi consulente di Palazzo Chigi; il suo fidatissimo braccio destro, che con spavalderia minacciosa si è detto dinanzi al Parlamento "di sinistra" e prodiano, è addirittura al "Personale" della Difesa mentre il generale Emilio Spaziante, l'operativo di Pollari nella Guardia di Finanza di Roberto Speciale, è il numero due al Cesis, la struttura che fa da link tra la presidenza del Consiglio e l'intelligence militare e civile, una poltrona che, nel 2001, già fu di buon auspicio per Nicolò Pollari che da lì partì alla conquista della direzione del Sismi. Il governo di centro-sinistra ha preferito chiudere un accordo di non-aggressione con quel network che, soltanto alla vigilia delle elezioni, appariva all'opposizione di ieri "spaventoso", "oscuro". Un'intesa cinica, realista che avrebbe anche potuto resistere se la parabola dell'esecutivo avesse dimostrato di poter durare a lungo; se la forza del governo avesse dimostrato, in questo suo primo anno, di essere adeguatamente salda e autosufficiente per poter affrontare l'intero ciclo quinquennale della legislatura. Ai primi scricchiolii di popolarità e consenso, ai primi segnali di debolezza politica interna, il network è ritornato a muoversi con tutta la sua pericolosità. Le minacce del generale Roberto Speciale ne sono una eloquente testimonianza. "So io che fare", ha detto ieri al Corriere della Sera. La congiuntura politica, la debolezza e le divisioni della maggioranza, qualche appuntamento di carattere giudiziario non inducono all'ottimismo e lasciano pensare che il peggio debba ancora venire, altro che il match Visco/Speciale. Dunque. Ancora poche settimane e nel frullatore politico-mediatico entreranno le migliaia di intercettazioni telefoniche raccolte nell'inchiesta Antoveneta/Bnl. Un breve saggio di quanto possano essere esplosive lo si è già avuto nel 2006 con la pubblicazione della conversazione tra Gianni Consorte (Unipol) e il segretario dei Ds, Piero Fassino. Ma in quelle intercettazioni si sa, per dirne una, che si ascolta la voce dei maggiori leader del centro-sinistra, a cominciare da Massimo D'Alema e del suo collaboratore più affidabile, il senatore Nicola Latorre. A incupire la scena, la preoccupazione che le intercettazioni legali possano incrociarsi con gli ascolti abusivi e le indagini illegali della Security Telecom. Per quel che se ne sa, è stato trovato soltanto un dvd con migliaia di dossier, nella disponibilità di un investigatore privato che lavorava per la società di telecomunicazioni (o per lo meno per gli uomini della sua sicurezza). Nessuno è in grado di escludere, a Milano come a Roma, che quel dvd sia soltanto una parte dell'archivio segreto. Mentre non c'è dubbio che anche la più irrilevante briciola di quelle informazioni, raccolte illegalmente, sia oggi nella disponibilità dell'"agglomerato oscuro". Che avrà il modo e l'occasione di giocare una nuova partita e qualche asso. I tempi sono favorevoli. Le anomalie, i vizi, gli sprechi della politica italiana hanno scavato un solco tra il Paese e il Palazzo mettendo in moto, per dirla con le parole di Massimo D'Alema, "una crisi di credibilità della politica che tornerà a stravolgere l'Italia con sentimenti come quelli che, negli anni novanta, segnarono la fine della Prima Repubblica". La storia ci insegna che una democrazia fragile e largamente screditata può sopravvivere anche molto a lungo, grazie ai sui meccanismi di autotutela, soltanto però "in assenza di eventi traumatici "esterni" che la facciano crollare". Ora tutta la questione è in questa eventualità. Non c'è dubbio che il network oscuro sia in grado di creare, anche artificialmente, un evento "traumatico" esterno. I dossier - veri o falsi, non importa - raccolti negli anni del governo Berlusconi dall'apparato legale/clandestino di spionaggio possono di certo esserlo. Se si guarda a come si è mosso, contro Vincenzo Visco, il generale Roberto Speciale, sembra di poter dire che in giro ci sia anche la volontà di farlo, la determinazione senza tentennamenti. Il comandante della Guardia di Finanza ha tentato, infatti, di "giudiziarizzare" il braccio di ferro con il viceministro, di alimentare con la sua testimonianza (aggiustata per l'occasione) un'indagine penale e, sotto l'ombrello dell'inchiesta, mettere in circolo veleni, notizie mezze vere e mezze false o del tutto manipolate, capaci di "travolgere il Paese con i sentimenti degli anni novanta". Può essere stato soltanto un piccolo accenno di quanto accadrà di qui a dieci giorni. Sapremo presto quali iniziative intende muovere, quest'altra P2 - simile, ma non uguale a quella che abbiamo conosciuta - e quale forza di dissuasione o di compromesso è in grado di opporre il sistema politico. (4 giugno 2007)
Una nuova P2 ricattala politica debole di GIUSEPPE D'AVANZO
Una nuova P2 ricattala politica debole" src="http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/economia/visco-gdf/nuova-p2/stor_10526214_13200.jpg" width=280>
Il vice ministro all'Economia Vincenzo Visco e il generale Roberto SpecialeNon è una buona cosa maneggiare l'affare Visco/Speciale come una baruffa tra due caratteri autoritari e spicciativi, e non come un conflitto tra istituzioni che annuncia un ben altro sismo, più violento e dagli esiti imprevedibili. Un'analisi senza profondità, tempo e memoria di questo "pasticciaccio" impedisce di scorgere l'autentico focus della crisi che sta incubando: il ritorno sul "mercato della politica" degli interessi di quell'"agglomerato oscuro" che si è andato costituendo all'ombra del governo Berlusconi e nella spensierata indifferenza o sottovalutazione dei leader del centro-sinistra, Prodi, D'Alema, Rutelli in testa. Si può dire che quel che fa capolino con l'offensiva del generale è una varietà modernizzata della loggia P2. La si può definire così, una P2, soltanto per semplificazione evocativa anche se il segno caratteristico di questa consorteria non è l'affiliazione alla massoneria (anche se massoni vi abitano), ma la pervasività - sotterranea, irresponsabile, incontrollata, trasversale - del suo potere di pressione, di condizionamento, di ricatto.
E' necessario cominciare da Visco. I passi stortissimi del comandante generale della Guardia di Finanza non possono lasciare in ombra gli errori del viceministro, che sono gravi. Non è in discussione la limpidezza morale di Vincenzo Visco, ma l'efficacia delle sue mosse e soprattutto la coerenza delle sue iniziative con la strategia del governo di cui è parte. Il primo errore del viceministro è di non rendere trasparenti le ragioni dell'urgenza di cambiare aria nelle stanze del comando della Guardia di Finanza in Lombardia, di non farne una questione pubblica. Visco cede alla tentazione di avviare, come si legge in una lucida analisi del Sole-24 Ore, "un rozzo spoils system nei confronti di personale militare ritenuto troppo vicino alla gestione politica precedente". Che in Lombardia, la Guardia di Finanza sia stata molto prossima e a volte subalterna alle volontà del ministro dell'Economia uscente, Giulio Tremonti - e che ancora oggi possa esserlo - è fatto noto dentro la Guardia di Finanza e nella magistratura, ma Visco tira per la sua strada in silenzio e al coperto, con un altro passo falso. "Anziché stare alla larga da diatribe annose e poco misurabili", pensa "di utilizzare un gruppo contro un altro, senza calcolare modi, conseguenze e nemmeno la forza di chi gli sarebbe potuto rivoltare contro" (ancora il Sole-24 Ore). Tatticamente difettosa, l'iniziativa di Visco ha un altro deficit. Non è politicamente omogenea alle scelte del governo che ha deciso di stringere, contrariamente a quel che crede Visco, un patto di compromissione, un'intesa, un patto di non-aggressione, chiamatelo come volete, proprio con quel network di potere, di cui il generale Roberto Speciale è soltanto uno degli attori, e nemmeno il maggiore. Di quel network di potere occulto e trasversale, ormai si sa o si dovrebbe sapere. E' un "apparato" legale/clandestino deforme, scandaloso, ma del tutto "visibile". Nasce con la connessione abusiva dello spionaggio militare con diverse branche dell'investigazione, soprattutto l'intelligence business, della Guardia di Finanza; con agenzie di investigazione che lavorano in outsourcing; con la Security privata di grandi aziende come Telecom, dove esiste una "control room" e una "struttura S2OC" "capace di fare qualsiasi cosa, anche intercettazioni vocali: può entrare in tutti i sistemi, gestirli, eventualmente dirottare le conversazioni su utenze in uso, con la possibilità di cancellarne la traccia senza essere specificatamente autorizzato". Quel che combina questo "mostro", che dovrebbe preoccupare chi ha a cuore la qualità della democrazia italiana, si sa. Qualche esempio. Dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, pianifica operazioni - "anche cruente" - contro i presunti "nemici" del neopresidente del Consiglio. Durante la legislatura 2001/2006 raccoglie, "con cadenza semestrale", informazioni in Europa su presunti finanziamenti dei Democratici di Sinistra. E' il "dossier Oak" (Quercia), alto una spanna, denso di conti correnti, bonifici, addirittura con i nomi e i cognomi di presunti "riciclatori" e "teste di legno" dei finanziamenti occulti dei Ds che fanno capo ai leader del partito. Prima della campagna elettorale del 2006, l'apparato legale/clandestino programma e realizza una campagna di discredito contro Romano Prodi. Sarebbe un errore, però, considerare il network "al servizio" del centrodestra. Quell'apparato legale/clandestino, a cavallo tra due legislature, si è "autonomizzato", si è "privatizzato", è autoreferenziale. Raccoglie e gestisce informazioni in proprio. Vere, false non importa: sono qualifiche fluide - il vero e il falso - nella "mediatizzazione della politica dove ogni azione politica si svolge all'interno dello spazio mediale e dipende in larga misura dalla voce dei media". A questa variante moderna di P2 è sufficiente amministrare, saggiamente, la cecità e le nevrosi delle power élite, angosciate dalle mosse degli alleati; spaventate dai complotti possibili, probabili, prossimi. Con accorta disciplina, il network spionistico sa essere il virus e il terapeuta della malattia del sistema politico italiano che impedisce, all'uno come all'altro schieramento, di riconoscersi la legittimità (morale prima che politica) di governare. Alimenta così la sindrome di Berlusconi consegnandogli dossier sul complotto mediatico-giudiziario. La cura con una pianificazione di annientamento dei presunti complottardi. Eccita il "complesso berlusconiano" della sinistra e lenisce quello stato psicoemotivo, prima che politico, con informazioni sulle mosse vere o presunte del temuto spauracchio. Quanto più il conflitto pubblico precipita oscurandosi in un sottosuolo, dove poteri frantumati, deboli, nevrotici tentano di rafforzarsi o difendersi; tanto più il network è in grado di essere il custode dell'opaca natura del potere italiano o il giocatore in più che può favorire la vittoria nella contesa. La minaccia di questa presenza abusiva e minacciosa nel "mercato della politica", alla vigilia delle elezioni del 2006, sembra chiara al centrosinistra. C'è chi esplicitamente, con grande scandalo e dopo anni di distratto silenzio, avverte che "sono tornati i tempi della P2" e chi, più lucidamente, ragiona sul quel che è accaduto e sul da farsi. Preoccupato da una realtà che ha consentito di "sviluppare un agglomerato oscuro fatto di agenzie di investigazione e polizie private in combutta con infedeli servitori dello Stato che si muove in una logica di ricatto", trova "lo spettacolo spaventoso" e promette che "il nuovo governo solleciterà il Parlamento a indagare, accertare, comprendere cosa è accaduto". (Marco Minniti, oggi viceministro agli Interni). In realtà, il governo Prodi appena insediato muove in tutt'altra direzione. Preferisce guardare altrove, incapace di prendere atto dell'infezione, in apparenza impotente a comprenderne il pericolo, addirittura impedito a programmare il necessario lavoro di bonifica. Quel che appare al vertice del network, il direttore del Sismi Nicolò Pollari, incappa nelle indagini della procura di Milano per il sequestro di un cittadino egiziano. L'inchiesta mostra le connessioni del network e dimostra la sua attività di dossieraggio illegale. Incrociata con i risultati dell'istruttoria Telecom, offre una scena così inquietante per la qualità della nostra democrazia che dovrebbe convincere il governo a darsi da fare in fretta, a rimuovere, rinnovare, risanare; a chiedere al Parlamento - appunto - di "accertare e comprendere". Accade il contrario. Il sequestro del cittadino egiziano è protetto da un segreto di Stato che nemmeno Berlusconi e Gianni Letta hanno mai proposto alla magistratura milanese. Di più, per dare un minimo di credibilità alla sorprendente iniziativa, l'esecutivo non esita ad accusare dinanzi alla Corte Costituzionale di illegalismo la procura di Milano. Un altro segreto di Stato va a coprire gli avvenimenti che hanno accompagnato la missione in Iraq di Nicola Calipari, salvo poi chiedere a Washington "verità e giustizia". Che si voglia tutelare, anche nella nuova stagione politica, il passato, i traffici e la fortuna dei protagonisti di quel network è ancora più chiaro quando si procede alla sostituzione dei vertici dell'intelligence. L'ammiraglio Bruno Branciforte va al Sismi senza alcuna delega in bianco o margini operativi e decisionali. Viene consegnato a un imbarazzante stato di impotenza. In sei mesi, per vincoli politici, non ha avuto la possibilità di rimuovere nemmeno un dirigente. Lo staff, i direttori centrali e periferici, il potentissimo capo del personale sono gli stessi dell'éra Pollari. Ad alcuni degli uomini più fidati del generale uscente è stato consigliato di fare un accorto passo laterale diventando gli uomini forti e ascoltati del ministero della Difesa. Al Sisde il nuovo capo, Franco Gabrielli, ammette addirittura davanti al Parlamento che "così com'è, il servizio interno non può svolgere appieno un efficace compito di prevenzione". E tuttavia non riesce a incuriosire il ministro dell'Interno che, in sei mesi, non ha ancora trovato il tempo e il modo di riceverlo. Se i "nuovi" hanno difficoltà a fare il loro lavoro, i "vecchi" possono ampliare - al contrario - il loro margine di manovra e i "punti di appoggio". Pollari è oggi consulente di Palazzo Chigi; il suo fidatissimo braccio destro, che con spavalderia minacciosa si è detto dinanzi al Parlamento "di sinistra" e prodiano, è addirittura al "Personale" della Difesa mentre il generale Emilio Spaziante, l'operativo di Pollari nella Guardia di Finanza di Roberto Speciale, è il numero due al Cesis, la struttura che fa da link tra la presidenza del Consiglio e l'intelligence militare e civile, una poltrona che, nel 2001, già fu di buon auspicio per Nicolò Pollari che da lì partì alla conquista della direzione del Sismi. Il governo di centro-sinistra ha preferito chiudere un accordo di non-aggressione con quel network che, soltanto alla vigilia delle elezioni, appariva all'opposizione di ieri "spaventoso", "oscuro". Un'intesa cinica, realista che avrebbe anche potuto resistere se la parabola dell'esecutivo avesse dimostrato di poter durare a lungo; se la forza del governo avesse dimostrato, in questo suo primo anno, di essere adeguatamente salda e autosufficiente per poter affrontare l'intero ciclo quinquennale della legislatura. Ai primi scricchiolii di popolarità e consenso, ai primi segnali di debolezza politica interna, il network è ritornato a muoversi con tutta la sua pericolosità. Le minacce del generale Roberto Speciale ne sono una eloquente testimonianza. "So io che fare", ha detto ieri al Corriere della Sera. La congiuntura politica, la debolezza e le divisioni della maggioranza, qualche appuntamento di carattere giudiziario non inducono all'ottimismo e lasciano pensare che il peggio debba ancora venire, altro che il match Visco/Speciale. Dunque. Ancora poche settimane e nel frullatore politico-mediatico entreranno le migliaia di intercettazioni telefoniche raccolte nell'inchiesta Antoveneta/Bnl. Un breve saggio di quanto possano essere esplosive lo si è già avuto nel 2006 con la pubblicazione della conversazione tra Gianni Consorte (Unipol) e il segretario dei Ds, Piero Fassino. Ma in quelle intercettazioni si sa, per dirne una, che si ascolta la voce dei maggiori leader del centro-sinistra, a cominciare da Massimo D'Alema e del suo collaboratore più affidabile, il senatore Nicola Latorre. A incupire la scena, la preoccupazione che le intercettazioni legali possano incrociarsi con gli ascolti abusivi e le indagini illegali della Security Telecom. Per quel che se ne sa, è stato trovato soltanto un dvd con migliaia di dossier, nella disponibilità di un investigatore privato che lavorava per la società di telecomunicazioni (o per lo meno per gli uomini della sua sicurezza). Nessuno è in grado di escludere, a Milano come a Roma, che quel dvd sia soltanto una parte dell'archivio segreto. Mentre non c'è dubbio che anche la più irrilevante briciola di quelle informazioni, raccolte illegalmente, sia oggi nella disponibilità dell'"agglomerato oscuro". Che avrà il modo e l'occasione di giocare una nuova partita e qualche asso. I tempi sono favorevoli. Le anomalie, i vizi, gli sprechi della politica italiana hanno scavato un solco tra il Paese e il Palazzo mettendo in moto, per dirla con le parole di Massimo D'Alema, "una crisi di credibilità della politica che tornerà a stravolgere l'Italia con sentimenti come quelli che, negli anni novanta, segnarono la fine della Prima Repubblica". La storia ci insegna che una democrazia fragile e largamente screditata può sopravvivere anche molto a lungo, grazie ai sui meccanismi di autotutela, soltanto però "in assenza di eventi traumatici "esterni" che la facciano crollare". Ora tutta la questione è in questa eventualità. Non c'è dubbio che il network oscuro sia in grado di creare, anche artificialmente, un evento "traumatico" esterno. I dossier - veri o falsi, non importa - raccolti negli anni del governo Berlusconi dall'apparato legale/clandestino di spionaggio possono di certo esserlo. Se si guarda a come si è mosso, contro Vincenzo Visco, il generale Roberto Speciale, sembra di poter dire che in giro ci sia anche la volontà di farlo, la determinazione senza tentennamenti. Il comandante della Guardia di Finanza ha tentato, infatti, di "giudiziarizzare" il braccio di ferro con il viceministro, di alimentare con la sua testimonianza (aggiustata per l'occasione) un'indagine penale e, sotto l'ombrello dell'inchiesta, mettere in circolo veleni, notizie mezze vere e mezze false o del tutto manipolate, capaci di "travolgere il Paese con i sentimenti degli anni novanta". Può essere stato soltanto un piccolo accenno di quanto accadrà di qui a dieci giorni. Sapremo presto quali iniziative intende muovere, quest'altra P2 - simile, ma non uguale a quella che abbiamo conosciuta - e quale forza di dissuasione o di compromesso è in grado di opporre il sistema politico. (4 giugno 2007)
giovedì 17 maggio 2007
La storia delle due rane
Un giorno due rane, cercando di berne il contenuto, caddero dentro un secchio di latte, galleggiando con fatica, provavano in tutti i modi a risalire la parete del secchio, che pieno solo a metà con il latte, impediva loro la risalita. La prima rana, la più grande, dopo molti tentativi, in preda alla disperazione, disse alla più piccola "non c'è la faremo mai", smise di nuotare e si lascio affogare. La seconda rana, con caparbietà, continuò a nuotare, muovendo costantemente le zampette, senza scoraggiarsi ad ogni tentativo fallito e venne la notte, ma lei non si perse d'animo. All'alba ormai stremata, si accorse che le sue zampe poggiavano su una superficie solida, felice spiccò un salto e fu fuori dal secchio. Il movimento delle sue zampe aveva trasformato il latte liquido in burro solido.
Mai pensare di dichiararsi sconfitti o rinunciare a tentare, a provare, con costanza ogni giorno. Il fare, con determinazione, per ottenere un obiettivo, porta sicuramente alla riuscita.
Questa storia è raccontata da Paramahansa Yogananda (un grande Mastro spirituale) in un suo libro, la scrivo in questo post per me e per chi vuole che le cose cambino, intorno e dentro se stessi. Non aggiungo altro!
-->
Postato
Mai pensare di dichiararsi sconfitti o rinunciare a tentare, a provare, con costanza ogni giorno. Il fare, con determinazione, per ottenere un obiettivo, porta sicuramente alla riuscita.
Questa storia è raccontata da Paramahansa Yogananda (un grande Mastro spirituale) in un suo libro, la scrivo in questo post per me e per chi vuole che le cose cambino, intorno e dentro se stessi. Non aggiungo altro!
-->
Postato
sabato 12 maggio 2007
Roma 12 maggio 2007 Family Day
12-05-2007 - Un milione in piazza per la famigliaL'annuncio di Alessandro Zaccuri, di Sat2000, uno dei due conduttori del Family Day in piazza San Giovanni, è arrivato alle 16.51, subito dopo la canzone di Povia: "siamo più di un milione". Più tardi, a conclusione della serata, Savino Pezzotta arriverà a parlare di un milione e mezzo. La sensazione che la partecipazione alla manifestazione del 12 maggio sarebbe stata oltre ogni aspettativa è cresciuta di ora in ora, via via che la piazza si riempiva di famiglie, di bambini, polverizzando così tutte le previsioni più rosee della vigilia. La voce circolava già da un po’ tra gli addetti ai lavori, almeno da quando è cominciata la diretta tv, con una panoramica della piazza che letteralmente non entrava nello schermo, da qualunque accesso venisse ripresa (lato S.Giovanni, lato via Merulana, lato via S.Alfonso), dall’alto o dal basso. E a poca distanza, in piazza Navona, solo 10 mila persone alla contro-manifestazione del "coraggio laico", con la sinistra radicale, il ministro Emma Bonino e il segretario dello Sdi Enrico Boselli.
“I diritti dei bambini sono più importanti di quelli dei grandi”. Così Povia, il cantante arrivato al successo con la canzone “I bambini fanno oh!”, si è rivolto alla platea del Family Day, subito dopo l’annuncio che il “popolo di S.Giovanni” aveva superato la cifra record di un milione di presenze. “I bambini devono avere una mamma e un papà”, ha detto Povia cantando un “medley” appositamente composto per l’occasione. “Anche se siamo separati – ha aggiunto – per favore almeno sui figli restiamo uniti”. E ancora: “Per fare una legge ci vogliono soldi, che verrebbero comunque tolti alle famiglie”. “I diritti dei bambini sono più importanti di quelli dei grandi”, ha concluso: “Questa per me è famiglia”.
A scaldare ancora di più i cuori dei presenti un video “inedito” di Giovanni Paolo II, datato 30 dicembre 1988. Nel video il Papa parla della famiglia ricordando che questa “deve essere protetta dalla distruzione profonda”. E per farlo, affermava il pontefice polacco, “bisogna entrare nelle sue radici più profonde, nella sua natura più intima". Grandi applausi e commozione hanno accompagnato le parole del video. Come "gesto finale" del "Family Day" è stato annunciato dal palco di piazza San Giovanni in Laterano che verranno sostenuti per 10 anni 10 ragazzi in situazione di povertà di Paesi in via di sviluppo. "La famiglia dura nel tempo - ha detto il presentatore Alessandro Zaccuri - e il segno di questo Family Day vuole essere un gesto di solidarietà che dura nel tempo".
In piazza anche donne musulmane e famiglie straniere“Cercare di aiutare le famiglie in crisi o in difficoltà viene prima di pensare ai Dico”. Sono parole di Souad Sbai, presidente delle donne marocchine e membro del Comitato laico in difesa della famiglia, in una videotestimonianza trasmessa dalla diretta di Sat2000 sul “Family Day” di piazza S.Giovanni. “Anche noi donne musulmane – ha detto riferendosi idealmente alla delegazione di donne musulmane presenti in piazza – vogliamo valorizzare, aiutare la famiglia in crisi o in difficoltà. Anche noi abbiamo voglia di famiglia”. E di “voglia di famiglia” ha parlato dal palco anche la famiglia Qudadesse, che viene da Scutari, in Albania; tra la folla anche altre famiglie di immigrati, molti di loro ormai “naturalizzati” in Italia. “Volevamo una vita migliore – hanno raccontato i due coniugi albanesi, tre figli – e siamo riusciti ad integrarci grazie agli amici, alla brava gente che abbiamo incontrato. Oggi vediamo un futuro migliore per i nostri figli, che noi non abbiamo mai avuto”.
Slogan e striscioni“Radici cristiane, la famiglia secondo natura”. Suona come la pubblicità di un prodotto biologico, invece è uno degli slogan più originali che campeggiano in una piazza S.Giovanni gremita di gente. La fantasia del “popolo” del Family Day oggi si è davvero scatenata, con striscioni variopinti su cui campeggiano slogan tra cui spicca - come uno “spot” a favore della famiglia tradizionale, oltre che una sorta di riedizione cattolica della cosiddetta “famiglia allargata” – quello targato Napoli, naturalmente in dialetto (anzi “lingua”) napoletana: “Io mammat’e tu, e figliate, e nonn’, e zi’e, ch’est’è ‘a famiglia. Che vuo’ di più?”. Viene da Bergamo uno striscione di solidarietà verso mons. Angelo Bagnasco, presidente della Cei. “Grazie, mons. Bagnasco – vi si legge – Grida sempre più forte la retta via”. Poi slogan più “militanti”, come: “Nemici della famiglia = nemici dell’umanità”. Tra gruppi di giovani che ballano balli tradizionali al suono di chitarre e tamburi, e trampolieri che si muovono al ritmo delle cornamuse, si possono trovare striscioni come “Per la famiglia, non a costo della famiglia”. “Famiglia, un’invenzione di Dio".
PEZZOTTA (PORTAVOCE), “LA FAMIGLIA DIVENTI UNA CAUSA NAZIONALE”.“Vogliamo bene alla nostra Costituzione e per questo vogliamo che nella Repubblica Italiana si rimetta al centro il tema della famiglia dal punto di vista culturale, sociale, economico e politico”. Lo ha detto Savino Pezzotta, portavoce del Family Day, chiudendo la manifestazione che ha visto la partecipazione di oltre 1 milione e mezzo di persone. “Vogliamo fare della famiglia una causa nazionale e stabilire il principio che ognuno deve poter avere i figli che vuole, senza che questo comporti una drastica diminuzione del tenore di vita”. Pezzotta ha riconosciuto che “per molto tempo si è pensato che la famiglia ponesse solo domande socio-economiche e abbiamo trascurato le questioni più profonde, ovvero quelle mutazioni culturali e di costume che indebolivano la famiglia sul piano dei principi e dei valori, lasciando spazio a una visione individualista che ne minava le fondamenta”. “Siamo qui – ha aggiunto - per affermare che la famiglia è il nocciolo costitutivo della società, costruito attorno ad un rapporto, il più possibilmente stabile, di coppia e cioè di un uomo e una donna. Conosciamo tutte le difficoltà, i problemi e le tensioni che attraversano le famiglie, eppure siamo convinti che dobbiamo puntare ad una cultura del legame e non a quella della dissociazione che si ammanta in modo mistificante sotto l’egida della libertà. Proprio per questo parliamo di famiglia e non di famiglie”.
Pezzotta si è rivolto ai molti politici presenti in piazza: “abbiamo il diritto di sapere se chi ci governa punta su un modello antropologico centrato unicamente sull’autonomia dell’individuo, sull’utilitarismo delle affettività temporanee e deboli o se invece punta a consolidare quello della dinamica famigliare e pertanto di un’affettività che si incardini nella dimensione della responsabilità sociale”. “Il nostro essere qui oggi in tanti, non è manifestare contro o a favore dell’uno o dell’altro schieramento politico – ha precisato - Il bene comune, il bene del Paese, il bene dell’Italia, il bene delle nuove generazioni è il nostro riferimento di fondo. Nessuna volontà di dividere il Paese o alimentare scontri anacronistici. Questa non è una piazza guelfa. Qui non si strumentalizza la religione, ma neppure si vieta alla religione di illuminare la coscienza delle persone, credenti e non. Perché la fede per un credente non è irrilevante nella costruzione della società”. È sul terreno di difesa della libertà e della dignità della persona umana (aborto, eutanasia, morti sul lavoro…) che, per Pezzotta, “si colloca l’impegno per la famiglia, per il matrimonio civile e per fare in modo che le figlie e i figli abbiano un padre e una madre. Non possiamo essere applauditi quando ci schieriamo contro la guerra, contro la fame nel mondo, contro la pena di morte, quando ci impegniamo per l’economia civile e per la giustizia sociale e essere considerati oscurantisti quando vogliamo valorizzare la famiglia”.
“Sostenere che la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio e non solo sul rapporto affettivo o d’interessi tra un uomo e una donna o tra persone omosessuali, non è una questione confessionale” ha ribadito il portavoce del Family Day che ha chiesto che “il Parlamento non introduca i Dico”. Pezzotta ha invece auspicato “normative organiche per la famiglia che affrontino il tema della protezione del diritto alla vita d’ogni essere umano: dal concepimento alla morte naturale; che assumano la famiglia come soggetto sociale da sostenere con politiche specifiche attraverso criteri che la promuovano fin dal suo sorgere e che accompagnino il processo di generatività dal concepimento alla nascita e alla crescita dei bambini, degli adolescenti, dei giovani (consultori, asilo nido, salute, scuola e formazione), del lavoro dei coniugi con l’introduzione di flessibilità per la cura famigliare, dell’istruzione dei figli, attraverso il sostegno al reddito, con politiche fiscali, tariffarie e degli affitti ispirate all’equità, e dell’accompagnamento in tutte le azioni di cura parentale (handicappati, non autosufficienti, malattia, malattie terminali) che le famiglie sono chiamate a svolgere”. Si tratta in definitiva di “riformare in profondità il nostro welfare e ricentrarlo sulle esigenze della famiglia. Questa è la sfida che ci poniamo per il bene del Paese e della società italiana”. In chiusura il portavoce ha anche espresso solidarietà a mons. Bagnasco “per gli insulti e gli attacchi. Le siamo vicini, le vogliamo bene” ha detto.
GIACOBBE (FORUM FAMIGLIE), "CHIEDIAMO AL MONDO DELLA POLITICA DI METTERSI IN ASCOLTO DELLE FAMIGLIE""Oggi siamo qui perché più forte risuoni la voce delle famiglie italiane": lo ha detto oggi Giovanni Giacobbe, presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, promotrice del "Family Day", intervenendo verso la conclusione della grande manifestazione che ha radunato a Roma oltre 1 milione di persone. "Le famiglie - ha proseguito Giacobbe - attendono dai legislatori e dai governanti un disegno organico di sostegno alla famiglia nella dimensione definita dalla Costituzione italiana, ovvero come società naturale fondata sul matrimonio". Giacobbe ha poi detto che "solo una buona politica sa riconoscere dov'è il bene comune. Noi crediamo che questo Paese meriti una buona politica e la misureremo sulla sua capacità di dare attuazione all'art. 31 della Costituzione". "Quella di oggi è davvero una tappa significativa", ha poi detto Giacobbe, "vogliamo rilanciare, con voi e per voi, l'impegnativo rapporto con le istituzioni, perché le politiche familiari si fanno non solo per le famiglie, ma con le famiglie". "Da oggi - ha detto il presidente del Forum - insieme e con più forza chiediamo al mondo della politica di mettersi in ascolto delle famiglie. Siamo consci del grande privilegio che ognuno di voi ci concede. Nel dare voce da questo palco ai vostri bisogni, rinnoviamo davanti a voi il nostro impegno al servizio della famiglia e del Paese".
ROCCELLA, “DIFENDERE IL MATRIMONIO RELIGIOSO E CIVILE” DALLA “CULTURA DELL’ANTIFAMIGLIA”“Siamo tutti figli: laici e cattolici, credenti e non credenti, islamici ed ebrei, omosessuali ed eterosessuali”. Lo ha detto Eugenia Roccella, portavoce del Family Day. “Noi non siamo qui a esibire le nostre famiglie, a ritenerci superiori a qualcuno o a giudicare gli altri. Le nostre famiglie sono come tutte le altre: belle, brutte, così così. Noi non diciamo che chi non si sposa non sia famiglia: lo è certamente sul piano degli affetti. Ma la famiglia, così come la riconosce la nostra Costituzione, si fonda sul matrimonio, cioè su un impegno forte di durata, basato sui doveri reciproci e sulle garanzie per le parti più deboli, in primo luogo”. “Noi siamo qui, da laici – ha aggiunto – a difendere il matrimonio civile, quello della Costituzione, che si può sciogliere attraverso il divorzio. Ma agli impegni presi con il matrimonio non ci si può sottrarre con facilità: le responsabilità restano, coniugi e figli hanno diritti incancellabili, anche quando il matrimonio si rompe. Il resto, le unioni di fatto, le convivenze, l’amore in tutte le sue mille forme precarie o durature, sono storie di individui, regolate da diritti individuali”. “Chi accusa la famiglia di essere un luogo di repressione che soffoca le libertà dei singoli – ha concluso - è spesso la stessa persona che chiede di poterla imitare, di replicarne qualche regola o rituale”. Un grazie a Giovanni Paolo II, “punto di riferimento” della “resistenza del cuore” tipicamente cattolica, e “un grazie che nessuno dice mai: grazie a tutte le donne che sono qui, grazie all’amore, alla passione, alla generosità che le donne mettono nello sforzo di costruire e mantenere in piedi le famiglie”. Eugenia Roccella, portavoce del Family Day, ha concluso così il suo intervento dal palco di piazza S.Giovanni. “Grazie alle mamme – ha proseguito – spesso sole nella loro volontà di fare figli, tanto che ormai esiste un grave divario tra il desiderio di maternità e la sua realizzazione: secondo le indagini, le donne vorrebbero in genere più bambini di quanti poi riescono a farne, perché la società glielo rende difficile, e la politica non aiuta. Grazie per il coraggio, gli equilibrismi, i piccoli eroismi quotidiani. E grazie anche ai padri – ha aggiunto Roccella – perché noi vogliamo che la paternità resti un modello importante per gli uomini, perché vogliamo responsabilità genitoriali condivise, e non madri sole, come accade nei Paesi del Nord Europa che ci vengono sempre proposti come modello di civiltà”. Grazie, infine, “a voi che siete qui, e a tutti i genitori di questo Paese”.
CESANA (CL), “OGNI GIORNO È FAMILY DAY”"Ogni giorno è Family Day": lo slogan è stato presentato da Giancarlo Cesana, responsabile di Comunione e Liberazione (Cl), intervistato sul palco del "Family Day" in piazza San Giovanni in Laterano. "Le energie personali della sessualità e della capacità di amare diventano la ricchezza della famiglia – ha detto Cesana -. La famiglia inoltre è un atto di fecondità, in quanto diventare adulti significa diventare capaci di dare la vita. I giovani hanno bisogno della famiglia perché in essa imparano il senso del dono della vita". Secondo Cesana, inoltre, "la famiglia viene prima di ogni altra realtà, in quanto l'uomo è fatto per la compagnia e non per la solitudine". Il leader di Cl, che in Italia ha oltre 100mila aderenti ed è presente in decine di altri Paesi del mondo, ha concluso dicendo che "questa piazza è la dimostrazione dell'importanza della famiglia ed è anche la manifestazione di un avvenimento divino".
MARTINEZ (RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO), “SENZA FAMIGLIA NON SI VIVE”“Se non difendiamo la famiglia oggi, offendiamo i giovani che verranno domani: la posta in gioco è troppo alta per rimanere inerti”. Così Salvatore Martinez, presidente di Rinnovamento nello Spirito, dal palco di piazza S.Giovanni. “Il diritto naturale precede la legge, e nessuna legge potrà controvertire il diritto naturale”, ha detto Martinez suscitando l’applauso della folla: “La famiglia è il nucleo materiale e fondamentale della società, e deve essere protetta dalla società e dallo Stato”. Quelle del Family Day, per Martinez, sono “famiglie vive, che vogliono trasmettere ai figli le meraviglie dell’amore. Quello che oggi è sotto i nostri occhi è un vero miracolo d’amore, e ai miracoli bisogna credere, specie quando i protagonisti sono le famiglie. Bisogna lasciarsi ringiovanire dall’amore, riscoprire la gioia di amarsi: di dare amore, di generare amore”. La famiglia, per Martinez, è “prima di tutto un evento spirituale: è un evento spirituale perdonare, rimanere fedeli quando sarebbe facile tradire, aprirsi alla vita pur tra mille difficoltà”. “Ci dicono che odoriamo di sacrestia”, ha concluso Martinez: “Non vogliamo accettare provocazioni, ma neanche tacere: vogliamo difendere la famiglia, che rimarrà sempre il migliore laboratorio di speranza, in un tempo che sa solo disperare”.
KIKO (NEOCATECUMENALI), “NON SIAMO CONTRO NESSUNO”. UN PENSIERO AI BAMBINI DELLE COPPIE SEPARATE“La famiglia umana manca del vino della Resurrezione che sconfigge la morte. Anche l’amore più grande e profondo tra due giovani è destinato a morire. Solo Cristo rende eterno l’amore”. Ha usato il racconto evangelico delle nozze di Cana, Kiko Arguello, fondatore del cammino neocatecumenale, per ricordare l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio cristiano. “Non siamo contro nessuno – ha detto Kiko – testimoniamo solo l’amore di Cristo che rende la famiglia una scuola di amore”. “Oggi nelle nostre scuole – ha aggiunto – ci sono milioni di bambini, figli di coppie separate. Sono bambini feriti perché hanno visto i loro genitori odiarsi. Sono la fascia più debole per questo serve – ha concluso - ricostruire la famiglia”. Al termine del suo intervento Kiko, dopo aver annunciato che 3.000 famiglie si sono offerte al Papa per la “missio ad gentes”, ha imbracciato la chitarra invitando la piazza a cantare “Resuscitò”.
OLIVERO (ACLI), “FAMIGLIA SINTESI DI MASSIMA CONCRETEZZA”. IN PIAZZA 750MILA PERSONE“Una piazza coraggiosa che vuole fare la propria parte per la famiglia. Una piazza che non può essere strumentalizzata da nessuno”. Lo ha detto Andrea Olivero, presidente delle Acli, nel suo intervento dal palco per il Family Day a Roma. “Le famiglie italiane – ha affermato - sono pronte ad accettare sfide come la difesa della vita dalla nascita alla sua fine naturale, a sostenere le persone anziane, ad educare contro ogni forma di consumismo. Sono famiglie aperte alla solidarietà, ai poveri, ai migranti”. “Le nostre famiglie – ha proseguito – non sono quelle della pubblicità ma si confrontano con problemi ben noti come lavoro, affitto, soldi ed altro ancora. Sono la sintesi di massima concretezza”.
MARINI (COLDIRETTI), "SIAMO QUI PER DIFENDERE IL MODELLO DI FAMIGLIA FONDATO SUL MATRIMONIO""Evviva le famiglie italiane" è stata l'esclamazione con cui Sergio Marini, presidente della Coldiretti, ha aperto il suo intervento al "Family Day", sul palco in piazza San Giovanni in Laterano. Con le sue oltre 500mila imprese agricole, la Coldiretti "è una grande realtà italiana e occorre considerare che ben il 30% delle imprese agricole è condotto da donne - ha detto Marini -. Questo significa che il successo non dipende dal sesso ma dal legame che sta a monte e che è costituito dal matrimonio. Noi siamo qui numerosi per difendere questo modello di famiglia fondata sul matrimonio, che è il nostro modello e che rappresenta il futuro del nostro Paese", ha concluso Marini.
ALICI (AZIONE CATTOLICA), “RIMUOVERE TUTTI GLI OSTACOLI CHE PESANO SULLA FAMIGLIA”Un invito a “rimuovere tutti quegli ostacoli, diretti e indiretti, che pesano sulla famiglia, senza confondere il rispetto dei diritti individuali con un’impossibile neutralità nei confronti del bene comune”. A lanciarlo dal palco di piazza S.Giovanni è stato Luigi Alici, presidente dell’Azione Cattolica nazionale. “La famiglia – ha detto – è un bene comune, perché unisce in una forma unica e originale maschile e femminile, vita e amore, pubblico e privato. Da questo legame stabile e libero nasce qualcosa che è per tutti: da quella nascita fiorisce una trama di relazioni filiali, genitoriali e familiari che è la prima scuola di vita sociale”. La famiglia, dunque, per Alici “non è un residuo archeologico”: anzi, privatizzarla “significa rassegnarsi ad una deriva di tipo individualistico, fondata sull’illusione perversa che ciascuno di noi è figlio unico di se stesso”. Per l’Azione Cattolica, “sulla famiglia pesano le insicurezze della vita sociale”: di qui l’invito a “non assegnare alla famiglia un’attenzione intermittente o sporadica”. Da parte sua, l’Ac si impegna a “frequentare anche le altre piazze del dibattito pubblico, senza dimenticare che i valori della legalità, della solidarietà, della giustizia sociale e della pace sono tutti fondati sull’idea di essere figli dell’unica famiglia umana”.
MARAZZITI (COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO), “UNA PIAZZA CHE CHIEDE DI RICONCILIARE IL PAESE”"Una grande festa italiana, una grande festa di un Paese che vede nella famiglia un grande patrimonio di tutti”. Lo afferma al SIR Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, commentando la manifestazione in piazza San Giovanni in Laterano promossa da associazioni e movimenti cattolici per la famiglia. “La famiglia – aggiunge Marazziti – rappresenta una ricchezza da sostenere per non andare verso un Paese troppo frammentato dove i deboli saranno sempre peggio. Piazza San Giovanni oggi è una piazza che chiede di riconciliare il Paese per trovare politiche che incoraggino scelte di responsabilità e di futuro”.
COSTALLI (MCL), "DOBBIAMO NON TEMERE DI FARCI VEDERE E FARCI SENTIRE""Si tratta di una grande manifestazione popolare, l'esempio certo che la famiglia è molto sentita e radicata nel nostro Paese, nonostante gli attacchi che da più parte vengono portati": lo ha detto Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori (Mcl), intervenuto per primo tra i testimoni delle associazioni e movimenti italiani che hanno sostenuto il "Family Day". Costalli ha fatto cenno al referendum sulla procreazione assistita e ha detto: "Dobbiamo essere ottimisti e non temere di farci vedere e farci sentire come sta avvenendo oggi". Mcl è stato fondato nel 1970, è presente in Italia con 101 sedi nelle principali località del Paese e assiste decine di migliaia di lavoratori. "Noi pensiamo che la famiglia sia il grande motore della società", è il pensiero del suo presidente.
“I diritti dei bambini sono più importanti di quelli dei grandi”. Così Povia, il cantante arrivato al successo con la canzone “I bambini fanno oh!”, si è rivolto alla platea del Family Day, subito dopo l’annuncio che il “popolo di S.Giovanni” aveva superato la cifra record di un milione di presenze. “I bambini devono avere una mamma e un papà”, ha detto Povia cantando un “medley” appositamente composto per l’occasione. “Anche se siamo separati – ha aggiunto – per favore almeno sui figli restiamo uniti”. E ancora: “Per fare una legge ci vogliono soldi, che verrebbero comunque tolti alle famiglie”. “I diritti dei bambini sono più importanti di quelli dei grandi”, ha concluso: “Questa per me è famiglia”.
A scaldare ancora di più i cuori dei presenti un video “inedito” di Giovanni Paolo II, datato 30 dicembre 1988. Nel video il Papa parla della famiglia ricordando che questa “deve essere protetta dalla distruzione profonda”. E per farlo, affermava il pontefice polacco, “bisogna entrare nelle sue radici più profonde, nella sua natura più intima". Grandi applausi e commozione hanno accompagnato le parole del video. Come "gesto finale" del "Family Day" è stato annunciato dal palco di piazza San Giovanni in Laterano che verranno sostenuti per 10 anni 10 ragazzi in situazione di povertà di Paesi in via di sviluppo. "La famiglia dura nel tempo - ha detto il presentatore Alessandro Zaccuri - e il segno di questo Family Day vuole essere un gesto di solidarietà che dura nel tempo".
In piazza anche donne musulmane e famiglie straniere“Cercare di aiutare le famiglie in crisi o in difficoltà viene prima di pensare ai Dico”. Sono parole di Souad Sbai, presidente delle donne marocchine e membro del Comitato laico in difesa della famiglia, in una videotestimonianza trasmessa dalla diretta di Sat2000 sul “Family Day” di piazza S.Giovanni. “Anche noi donne musulmane – ha detto riferendosi idealmente alla delegazione di donne musulmane presenti in piazza – vogliamo valorizzare, aiutare la famiglia in crisi o in difficoltà. Anche noi abbiamo voglia di famiglia”. E di “voglia di famiglia” ha parlato dal palco anche la famiglia Qudadesse, che viene da Scutari, in Albania; tra la folla anche altre famiglie di immigrati, molti di loro ormai “naturalizzati” in Italia. “Volevamo una vita migliore – hanno raccontato i due coniugi albanesi, tre figli – e siamo riusciti ad integrarci grazie agli amici, alla brava gente che abbiamo incontrato. Oggi vediamo un futuro migliore per i nostri figli, che noi non abbiamo mai avuto”.
Slogan e striscioni“Radici cristiane, la famiglia secondo natura”. Suona come la pubblicità di un prodotto biologico, invece è uno degli slogan più originali che campeggiano in una piazza S.Giovanni gremita di gente. La fantasia del “popolo” del Family Day oggi si è davvero scatenata, con striscioni variopinti su cui campeggiano slogan tra cui spicca - come uno “spot” a favore della famiglia tradizionale, oltre che una sorta di riedizione cattolica della cosiddetta “famiglia allargata” – quello targato Napoli, naturalmente in dialetto (anzi “lingua”) napoletana: “Io mammat’e tu, e figliate, e nonn’, e zi’e, ch’est’è ‘a famiglia. Che vuo’ di più?”. Viene da Bergamo uno striscione di solidarietà verso mons. Angelo Bagnasco, presidente della Cei. “Grazie, mons. Bagnasco – vi si legge – Grida sempre più forte la retta via”. Poi slogan più “militanti”, come: “Nemici della famiglia = nemici dell’umanità”. Tra gruppi di giovani che ballano balli tradizionali al suono di chitarre e tamburi, e trampolieri che si muovono al ritmo delle cornamuse, si possono trovare striscioni come “Per la famiglia, non a costo della famiglia”. “Famiglia, un’invenzione di Dio".
PEZZOTTA (PORTAVOCE), “LA FAMIGLIA DIVENTI UNA CAUSA NAZIONALE”.“Vogliamo bene alla nostra Costituzione e per questo vogliamo che nella Repubblica Italiana si rimetta al centro il tema della famiglia dal punto di vista culturale, sociale, economico e politico”. Lo ha detto Savino Pezzotta, portavoce del Family Day, chiudendo la manifestazione che ha visto la partecipazione di oltre 1 milione e mezzo di persone. “Vogliamo fare della famiglia una causa nazionale e stabilire il principio che ognuno deve poter avere i figli che vuole, senza che questo comporti una drastica diminuzione del tenore di vita”. Pezzotta ha riconosciuto che “per molto tempo si è pensato che la famiglia ponesse solo domande socio-economiche e abbiamo trascurato le questioni più profonde, ovvero quelle mutazioni culturali e di costume che indebolivano la famiglia sul piano dei principi e dei valori, lasciando spazio a una visione individualista che ne minava le fondamenta”. “Siamo qui – ha aggiunto - per affermare che la famiglia è il nocciolo costitutivo della società, costruito attorno ad un rapporto, il più possibilmente stabile, di coppia e cioè di un uomo e una donna. Conosciamo tutte le difficoltà, i problemi e le tensioni che attraversano le famiglie, eppure siamo convinti che dobbiamo puntare ad una cultura del legame e non a quella della dissociazione che si ammanta in modo mistificante sotto l’egida della libertà. Proprio per questo parliamo di famiglia e non di famiglie”.
Pezzotta si è rivolto ai molti politici presenti in piazza: “abbiamo il diritto di sapere se chi ci governa punta su un modello antropologico centrato unicamente sull’autonomia dell’individuo, sull’utilitarismo delle affettività temporanee e deboli o se invece punta a consolidare quello della dinamica famigliare e pertanto di un’affettività che si incardini nella dimensione della responsabilità sociale”. “Il nostro essere qui oggi in tanti, non è manifestare contro o a favore dell’uno o dell’altro schieramento politico – ha precisato - Il bene comune, il bene del Paese, il bene dell’Italia, il bene delle nuove generazioni è il nostro riferimento di fondo. Nessuna volontà di dividere il Paese o alimentare scontri anacronistici. Questa non è una piazza guelfa. Qui non si strumentalizza la religione, ma neppure si vieta alla religione di illuminare la coscienza delle persone, credenti e non. Perché la fede per un credente non è irrilevante nella costruzione della società”. È sul terreno di difesa della libertà e della dignità della persona umana (aborto, eutanasia, morti sul lavoro…) che, per Pezzotta, “si colloca l’impegno per la famiglia, per il matrimonio civile e per fare in modo che le figlie e i figli abbiano un padre e una madre. Non possiamo essere applauditi quando ci schieriamo contro la guerra, contro la fame nel mondo, contro la pena di morte, quando ci impegniamo per l’economia civile e per la giustizia sociale e essere considerati oscurantisti quando vogliamo valorizzare la famiglia”.
“Sostenere che la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio e non solo sul rapporto affettivo o d’interessi tra un uomo e una donna o tra persone omosessuali, non è una questione confessionale” ha ribadito il portavoce del Family Day che ha chiesto che “il Parlamento non introduca i Dico”. Pezzotta ha invece auspicato “normative organiche per la famiglia che affrontino il tema della protezione del diritto alla vita d’ogni essere umano: dal concepimento alla morte naturale; che assumano la famiglia come soggetto sociale da sostenere con politiche specifiche attraverso criteri che la promuovano fin dal suo sorgere e che accompagnino il processo di generatività dal concepimento alla nascita e alla crescita dei bambini, degli adolescenti, dei giovani (consultori, asilo nido, salute, scuola e formazione), del lavoro dei coniugi con l’introduzione di flessibilità per la cura famigliare, dell’istruzione dei figli, attraverso il sostegno al reddito, con politiche fiscali, tariffarie e degli affitti ispirate all’equità, e dell’accompagnamento in tutte le azioni di cura parentale (handicappati, non autosufficienti, malattia, malattie terminali) che le famiglie sono chiamate a svolgere”. Si tratta in definitiva di “riformare in profondità il nostro welfare e ricentrarlo sulle esigenze della famiglia. Questa è la sfida che ci poniamo per il bene del Paese e della società italiana”. In chiusura il portavoce ha anche espresso solidarietà a mons. Bagnasco “per gli insulti e gli attacchi. Le siamo vicini, le vogliamo bene” ha detto.
GIACOBBE (FORUM FAMIGLIE), "CHIEDIAMO AL MONDO DELLA POLITICA DI METTERSI IN ASCOLTO DELLE FAMIGLIE""Oggi siamo qui perché più forte risuoni la voce delle famiglie italiane": lo ha detto oggi Giovanni Giacobbe, presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, promotrice del "Family Day", intervenendo verso la conclusione della grande manifestazione che ha radunato a Roma oltre 1 milione di persone. "Le famiglie - ha proseguito Giacobbe - attendono dai legislatori e dai governanti un disegno organico di sostegno alla famiglia nella dimensione definita dalla Costituzione italiana, ovvero come società naturale fondata sul matrimonio". Giacobbe ha poi detto che "solo una buona politica sa riconoscere dov'è il bene comune. Noi crediamo che questo Paese meriti una buona politica e la misureremo sulla sua capacità di dare attuazione all'art. 31 della Costituzione". "Quella di oggi è davvero una tappa significativa", ha poi detto Giacobbe, "vogliamo rilanciare, con voi e per voi, l'impegnativo rapporto con le istituzioni, perché le politiche familiari si fanno non solo per le famiglie, ma con le famiglie". "Da oggi - ha detto il presidente del Forum - insieme e con più forza chiediamo al mondo della politica di mettersi in ascolto delle famiglie. Siamo consci del grande privilegio che ognuno di voi ci concede. Nel dare voce da questo palco ai vostri bisogni, rinnoviamo davanti a voi il nostro impegno al servizio della famiglia e del Paese".
ROCCELLA, “DIFENDERE IL MATRIMONIO RELIGIOSO E CIVILE” DALLA “CULTURA DELL’ANTIFAMIGLIA”“Siamo tutti figli: laici e cattolici, credenti e non credenti, islamici ed ebrei, omosessuali ed eterosessuali”. Lo ha detto Eugenia Roccella, portavoce del Family Day. “Noi non siamo qui a esibire le nostre famiglie, a ritenerci superiori a qualcuno o a giudicare gli altri. Le nostre famiglie sono come tutte le altre: belle, brutte, così così. Noi non diciamo che chi non si sposa non sia famiglia: lo è certamente sul piano degli affetti. Ma la famiglia, così come la riconosce la nostra Costituzione, si fonda sul matrimonio, cioè su un impegno forte di durata, basato sui doveri reciproci e sulle garanzie per le parti più deboli, in primo luogo”. “Noi siamo qui, da laici – ha aggiunto – a difendere il matrimonio civile, quello della Costituzione, che si può sciogliere attraverso il divorzio. Ma agli impegni presi con il matrimonio non ci si può sottrarre con facilità: le responsabilità restano, coniugi e figli hanno diritti incancellabili, anche quando il matrimonio si rompe. Il resto, le unioni di fatto, le convivenze, l’amore in tutte le sue mille forme precarie o durature, sono storie di individui, regolate da diritti individuali”. “Chi accusa la famiglia di essere un luogo di repressione che soffoca le libertà dei singoli – ha concluso - è spesso la stessa persona che chiede di poterla imitare, di replicarne qualche regola o rituale”. Un grazie a Giovanni Paolo II, “punto di riferimento” della “resistenza del cuore” tipicamente cattolica, e “un grazie che nessuno dice mai: grazie a tutte le donne che sono qui, grazie all’amore, alla passione, alla generosità che le donne mettono nello sforzo di costruire e mantenere in piedi le famiglie”. Eugenia Roccella, portavoce del Family Day, ha concluso così il suo intervento dal palco di piazza S.Giovanni. “Grazie alle mamme – ha proseguito – spesso sole nella loro volontà di fare figli, tanto che ormai esiste un grave divario tra il desiderio di maternità e la sua realizzazione: secondo le indagini, le donne vorrebbero in genere più bambini di quanti poi riescono a farne, perché la società glielo rende difficile, e la politica non aiuta. Grazie per il coraggio, gli equilibrismi, i piccoli eroismi quotidiani. E grazie anche ai padri – ha aggiunto Roccella – perché noi vogliamo che la paternità resti un modello importante per gli uomini, perché vogliamo responsabilità genitoriali condivise, e non madri sole, come accade nei Paesi del Nord Europa che ci vengono sempre proposti come modello di civiltà”. Grazie, infine, “a voi che siete qui, e a tutti i genitori di questo Paese”.
CESANA (CL), “OGNI GIORNO È FAMILY DAY”"Ogni giorno è Family Day": lo slogan è stato presentato da Giancarlo Cesana, responsabile di Comunione e Liberazione (Cl), intervistato sul palco del "Family Day" in piazza San Giovanni in Laterano. "Le energie personali della sessualità e della capacità di amare diventano la ricchezza della famiglia – ha detto Cesana -. La famiglia inoltre è un atto di fecondità, in quanto diventare adulti significa diventare capaci di dare la vita. I giovani hanno bisogno della famiglia perché in essa imparano il senso del dono della vita". Secondo Cesana, inoltre, "la famiglia viene prima di ogni altra realtà, in quanto l'uomo è fatto per la compagnia e non per la solitudine". Il leader di Cl, che in Italia ha oltre 100mila aderenti ed è presente in decine di altri Paesi del mondo, ha concluso dicendo che "questa piazza è la dimostrazione dell'importanza della famiglia ed è anche la manifestazione di un avvenimento divino".
MARTINEZ (RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO), “SENZA FAMIGLIA NON SI VIVE”“Se non difendiamo la famiglia oggi, offendiamo i giovani che verranno domani: la posta in gioco è troppo alta per rimanere inerti”. Così Salvatore Martinez, presidente di Rinnovamento nello Spirito, dal palco di piazza S.Giovanni. “Il diritto naturale precede la legge, e nessuna legge potrà controvertire il diritto naturale”, ha detto Martinez suscitando l’applauso della folla: “La famiglia è il nucleo materiale e fondamentale della società, e deve essere protetta dalla società e dallo Stato”. Quelle del Family Day, per Martinez, sono “famiglie vive, che vogliono trasmettere ai figli le meraviglie dell’amore. Quello che oggi è sotto i nostri occhi è un vero miracolo d’amore, e ai miracoli bisogna credere, specie quando i protagonisti sono le famiglie. Bisogna lasciarsi ringiovanire dall’amore, riscoprire la gioia di amarsi: di dare amore, di generare amore”. La famiglia, per Martinez, è “prima di tutto un evento spirituale: è un evento spirituale perdonare, rimanere fedeli quando sarebbe facile tradire, aprirsi alla vita pur tra mille difficoltà”. “Ci dicono che odoriamo di sacrestia”, ha concluso Martinez: “Non vogliamo accettare provocazioni, ma neanche tacere: vogliamo difendere la famiglia, che rimarrà sempre il migliore laboratorio di speranza, in un tempo che sa solo disperare”.
KIKO (NEOCATECUMENALI), “NON SIAMO CONTRO NESSUNO”. UN PENSIERO AI BAMBINI DELLE COPPIE SEPARATE“La famiglia umana manca del vino della Resurrezione che sconfigge la morte. Anche l’amore più grande e profondo tra due giovani è destinato a morire. Solo Cristo rende eterno l’amore”. Ha usato il racconto evangelico delle nozze di Cana, Kiko Arguello, fondatore del cammino neocatecumenale, per ricordare l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio cristiano. “Non siamo contro nessuno – ha detto Kiko – testimoniamo solo l’amore di Cristo che rende la famiglia una scuola di amore”. “Oggi nelle nostre scuole – ha aggiunto – ci sono milioni di bambini, figli di coppie separate. Sono bambini feriti perché hanno visto i loro genitori odiarsi. Sono la fascia più debole per questo serve – ha concluso - ricostruire la famiglia”. Al termine del suo intervento Kiko, dopo aver annunciato che 3.000 famiglie si sono offerte al Papa per la “missio ad gentes”, ha imbracciato la chitarra invitando la piazza a cantare “Resuscitò”.
OLIVERO (ACLI), “FAMIGLIA SINTESI DI MASSIMA CONCRETEZZA”. IN PIAZZA 750MILA PERSONE“Una piazza coraggiosa che vuole fare la propria parte per la famiglia. Una piazza che non può essere strumentalizzata da nessuno”. Lo ha detto Andrea Olivero, presidente delle Acli, nel suo intervento dal palco per il Family Day a Roma. “Le famiglie italiane – ha affermato - sono pronte ad accettare sfide come la difesa della vita dalla nascita alla sua fine naturale, a sostenere le persone anziane, ad educare contro ogni forma di consumismo. Sono famiglie aperte alla solidarietà, ai poveri, ai migranti”. “Le nostre famiglie – ha proseguito – non sono quelle della pubblicità ma si confrontano con problemi ben noti come lavoro, affitto, soldi ed altro ancora. Sono la sintesi di massima concretezza”.
MARINI (COLDIRETTI), "SIAMO QUI PER DIFENDERE IL MODELLO DI FAMIGLIA FONDATO SUL MATRIMONIO""Evviva le famiglie italiane" è stata l'esclamazione con cui Sergio Marini, presidente della Coldiretti, ha aperto il suo intervento al "Family Day", sul palco in piazza San Giovanni in Laterano. Con le sue oltre 500mila imprese agricole, la Coldiretti "è una grande realtà italiana e occorre considerare che ben il 30% delle imprese agricole è condotto da donne - ha detto Marini -. Questo significa che il successo non dipende dal sesso ma dal legame che sta a monte e che è costituito dal matrimonio. Noi siamo qui numerosi per difendere questo modello di famiglia fondata sul matrimonio, che è il nostro modello e che rappresenta il futuro del nostro Paese", ha concluso Marini.
ALICI (AZIONE CATTOLICA), “RIMUOVERE TUTTI GLI OSTACOLI CHE PESANO SULLA FAMIGLIA”Un invito a “rimuovere tutti quegli ostacoli, diretti e indiretti, che pesano sulla famiglia, senza confondere il rispetto dei diritti individuali con un’impossibile neutralità nei confronti del bene comune”. A lanciarlo dal palco di piazza S.Giovanni è stato Luigi Alici, presidente dell’Azione Cattolica nazionale. “La famiglia – ha detto – è un bene comune, perché unisce in una forma unica e originale maschile e femminile, vita e amore, pubblico e privato. Da questo legame stabile e libero nasce qualcosa che è per tutti: da quella nascita fiorisce una trama di relazioni filiali, genitoriali e familiari che è la prima scuola di vita sociale”. La famiglia, dunque, per Alici “non è un residuo archeologico”: anzi, privatizzarla “significa rassegnarsi ad una deriva di tipo individualistico, fondata sull’illusione perversa che ciascuno di noi è figlio unico di se stesso”. Per l’Azione Cattolica, “sulla famiglia pesano le insicurezze della vita sociale”: di qui l’invito a “non assegnare alla famiglia un’attenzione intermittente o sporadica”. Da parte sua, l’Ac si impegna a “frequentare anche le altre piazze del dibattito pubblico, senza dimenticare che i valori della legalità, della solidarietà, della giustizia sociale e della pace sono tutti fondati sull’idea di essere figli dell’unica famiglia umana”.
MARAZZITI (COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO), “UNA PIAZZA CHE CHIEDE DI RICONCILIARE IL PAESE”"Una grande festa italiana, una grande festa di un Paese che vede nella famiglia un grande patrimonio di tutti”. Lo afferma al SIR Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, commentando la manifestazione in piazza San Giovanni in Laterano promossa da associazioni e movimenti cattolici per la famiglia. “La famiglia – aggiunge Marazziti – rappresenta una ricchezza da sostenere per non andare verso un Paese troppo frammentato dove i deboli saranno sempre peggio. Piazza San Giovanni oggi è una piazza che chiede di riconciliare il Paese per trovare politiche che incoraggino scelte di responsabilità e di futuro”.
COSTALLI (MCL), "DOBBIAMO NON TEMERE DI FARCI VEDERE E FARCI SENTIRE""Si tratta di una grande manifestazione popolare, l'esempio certo che la famiglia è molto sentita e radicata nel nostro Paese, nonostante gli attacchi che da più parte vengono portati": lo ha detto Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori (Mcl), intervenuto per primo tra i testimoni delle associazioni e movimenti italiani che hanno sostenuto il "Family Day". Costalli ha fatto cenno al referendum sulla procreazione assistita e ha detto: "Dobbiamo essere ottimisti e non temere di farci vedere e farci sentire come sta avvenendo oggi". Mcl è stato fondato nel 1970, è presente in Italia con 101 sedi nelle principali località del Paese e assiste decine di migliaia di lavoratori. "Noi pensiamo che la famiglia sia il grande motore della società", è il pensiero del suo presidente.
venerdì 4 maggio 2007
Il 48% della merce cinese sequestrata è dannoso per la salute
Le merci cinesi sono pericolose - Gambe fratturate dagli attacchi da sci; phon che invece di asciugare i capelli li incendiano; creme di bellezza che invece deturpano il volto di rughe; orsacchiotti di peluche infanticidi. Sono alcune delle sgadite sorprese riservate da una parte dei prodotti "Made in China" ai loro acquirenti incauti. [...] A rendere quasi inutile il carico di regole e burocrazia che grava sulle industrie di casa nostra, in materia di salvaguardia della salute, si aggiungono le pesanti perdite di fatturato che la concorrenza sleale causa ad aziende e commercianti onesti. Ma il rischio perggiore lo corrono i clienti finali, quando i prodotti-killer sono ormai in circolazione, sfuggiti alle maglie della legge, sulle bancarelle abusive o all'interno di negozi dove ammiccando al borsellino si vende "tutto a un euro".
Da Libero di venerdì 4 maggio 2007.
Da Libero di venerdì 4 maggio 2007.
Iscriviti a:
Commenti (Atom)